IL 14 FEBBRAIO 1821 VENIVA A MANCARE IL TORREMAGGIORESE DON ONOFRIO FIANI, PATRIOTA REPUBBLICANO. NON DIMENTICHIAMOLO DOPO 203 ANNI DALLA DIPARTITA

In occasione del 203° anniversario della dipartita di Onofrio FIANI (1821-2024), ricordiamo il sacrificio del Patriota di Torremaggiore FIANI ONOFRIO Maria Michele Sacerdote e accademico. Il ricordo è stato interamente curato dallo studioso locale Ciro Panzone che ringraziamo.

Nacque a Torremaggiore nel 1761 e morto a Lucera il 14 febbraio 1821 all’età di 60 anni. Genitori: Giuseppe Fiani (dottore) e Marianna Maffei
Partecipante di S. Maria della Strada dal 1785 al 1794
Membro dell’Accademia Sebezia
Professore di Diritto presso l’Università di Castro e poi di Napoli
Eccellente studioso, autore di diverse opere storiografiche e di erudizione varia,tra cui la “Memoria di Gerione”

Fratello minore di Giambattista e Nicola Fiani, entrambi trucidati nel 1799. Patriota repubblicano, arrestato, torturato, processato e condannato il 19 novembre 1799 a 20 anni di lavori forzati, che vennero commutati in perpetuo esilio dal regime borbonico. Esule in Francia nel 1800, prima a Marsiglia e poi a Parigi, compose il suo manoscritto: Carattere de’ Napolitani. Quadro storico-politico scritto in Francia dopo la controrivoluzione di Napoli, che, rinvenuto dopo due secoli dall’editore Alfredo Gabriele, venne pubblicato postumo nel 2005, a cura di A.M. Rao e L. Membrini, dall’Istituto Italiano per gli studi filosoficidi Napoli. Passato a Milano nel 1801, don Onofrio diede alle stampe: Il genio d’Italia ovvero ricerche filosofiche su gli acquisti inutili alla Francia. Il volume è ricordato da Benedetto Croce come una ragionata protesta che allora si levò in Italia per la rapina iniziata dal Bonaparte delle nostre opere d’arte, tanto più che l’autore professava che “per amore della Francia e per onore del proprio carattere” aveva “saputo sacrificare quanto esiste di più caro al mondo” (B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, III.). Il coraggioso don Onofrio non si nascose dietro le parole, dichiarando le proprie idee con “libero linguaggio” (per usare la sua l’espressione), a riprova di una fierezza pervasa da autentico patriottismo che, da un lato, professava un programma politico fiducioso nell’azione riformatrice avviata dai Francesi in tutta Europa e, dall’altro, compiva un’analisi piena di amarezza e profondo scetticismo sull’efficacia di interventi esterni e intrapresi dall’alto. Tornato in Puglia nel 1802, il sacerdote di Torremaggiore, dovette rifugiarsi a Foggia da dove iniziò una fitta corrispondenza con altri esuli, di cui sono state ritrovate le lettere inviate a Giambattista Franchi de’ Cavalieri di Veroli, compagno di dimora nell’anno dell’esilio milanese. Il loro fu l’incontro di spiriti profondamente feriti non solo dalla persecuzione personale subita nei rispettivi stati, quello borbonico per Onofrio e quello pontificio per l’amico verolano, ma anche per le spietate e crudeli efferatezze subite dalle rispettive famiglie in episodi di tumultuosa e sanguinosa insorgenza popolare. I loro beni vennero tutti confiscati. Il sacerdote visse un periodo di sollievo nel decennio francese (1806-1815), durante il quale si stabilì a Napoli e tornò all’insegnamento e ai suoi interessi culturali, ma ne fu allontanato al ritorno dei Borbone. In esilio a Lucera, trascorse i suoi ultimi anni in uno stato di assoluta povertà, sorvegliato dalle spie borboniche, isolato e malvisto dalla curia. Ivi, debilitato nella psiche e nel fisico, morì il 14 febbraio 1821. Il martirio suo e della sua famiglia non fu vano perché, a detta del Croce, il sacrificio dei patrioti della repubblica napoletana rappresenta “il germe dell’unità d’Italia”.